Nach dem Krieg kehrt der gelernte Chemiker Pino Levi von Auschwitz nach Turin zurück und wird Schriftsteller. Weltberühmt ist sein autobiografischer Roman „Se questo è un uomo“ (Ist das ein Mensch?). Darin beschreibt er seine Erfahrungen im Konzentrationslager und die Entmenschlichung der Opfer. 1987 stirbt er unter nicht ganz geklärten Umständen nach einem Sturz in seinem Treppenhaus.
Der italienische Journalist Marco Belpoliti gehört zu den besten Levi-Kennern. Im Folgenden beschreibt er ein Foto, das der bekannte italienische Fotograf Basso Cannarsa zwei Monate vor Levis Tod in Turin aufgenommen hat.
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In una fredda giornata del febbraio del 1987 Basso Cannarsa si reca in viale Re Umberto 75 a Torino a casa di Primo Levi. C’è la neve per terra. Basso Cannarsa ha cominciato a fotografare da professionista da poco tempo. Qualche mese prima ha telefonato allo scrittore e gli ha chiesto di poterlo ritrarre. Levi ha risposto di non riuscire a riceverlo. Poi l’ha richiamato lui, e ha accettato di posare. Nella casa torinese regna un gran silenzio. All’inizio il fotografo è un po’ intimorito, eppure Levi è molto disponibile. Qualcuno chiama lo scrittore e questi scusandosi si assenta.
Basso Cannarsa ha adocchiato la sua scrivania. Da un lato c’è il computer, dall’altro una macchina per scrivere elettrica. Ha un’idea. Poiché gli pare che in quel periodo le foto degli scrittori che ha visto li ritraggano mentre tengono in mano un libro, oppure mentre bevono il caffè, quando Levi ritorna nella stanza gli chiede di prendere in mano la macchina e di tenerla dalla parte della tastiera.
Levi la solleva e si pone dietro. Basso Cannarsa scatta. Nell’immagine le lettere appaiono al rovescio, e Levi seminascosto dietro l’oggetto che regge. Sembra che la tastiera si sia staccata dal resto della macchina per scrivere, anche se poi, guardando meglio, s’intravedono il rullo scuro e l’asta che ferma i fogli. In primo piano le dita stringono l’oggetto. Le mani sono molto importanti nel mestiere che Levi ha praticato per anni, mani da chimico, il suo primo mestiere.
Si scorge il dorso, ma non il palmo, dove dovrebbe esserci la cicatrice che ogni chimico della sua generazione ha ricevuto quale segno d’iniziazione: „là dove il tendine flessore del dito medio incrocia quella che i chiromanti chiamano la linea della testa”, ha scritto. Un piccolo taglio provocato dalla manipolazione della vetreria in laboratorio. La macchina per scrivere è un oggetto importante invece nel secondo mestiere: lo scrittore.
Nelle fotografie che lo ritraggono al tavolo di lavoro c’è sempre una macchina per scrivere, forse una Olivetti Lettera 22. Sono gli anni in cui ha battuto il suo secondo libro, „La tregua“, trascrivendolo da un quaderno. Si scorge in una fotografia del 1963, dove Levi seduto al tavolo circondato dalla famiglia – Lucia, Lisa e Renzo – e con un foglio infilato nel rullo. Poi più avanti è arrivata la macchina elettrica, quella fotografata da Basso Cannarsa, e da altri fotografi. Fino a quando non è passato alla videoscrittura di un computer.
Tuttavia la vecchia macchina non l’ha abbandonata del tutto. La tiene sul tavolo. Come ha spiegato ad Alberto Gozzi due anni prima in un’intervista radiofonica, la scrivania ha due facce: una arcaica, classica, con i cassetti, la cancelleria varia. Lì, a Nord, c’è la macchina elettrica. A Sud la nuova macchina per la videoscrittura. Facce della medesima medaglia: scrivere. Questa fotografia l’ho vista per la prima vari anni fa, eppure continua a colpirmi per la sua stranezza. „Levi fu molto docile”, mi dice Basso al telefono. „Gli chiesi di reggere la macchina, e lo fece. Feci quella foto e poi altre, quindi me ne andai. Non l’ho più rivisto.”