E non solo nella politica nazionale. Sono venuto a parlare con Gustavo Pietropolli Charmet che da quarant’anni ascolta quegli extraterrestri che sono i giovani, oggi i grandi elettori del Movimento 5 Stelle.
Psicoterapeuta e psicoanalista, ha diretto servizi psichiatrici, insegnato all’università, ha fondato l’Associazione Minotauro, una realtà di ascolto e cura degli adolescenti; ora sta seguendo una nuova struttura nella Val d’Aosta: accoglie giovani che hanno tentato di togliersi la vita. I due suoi ultimi libri pubblicati s’intitolano: Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi e Cosa farò da grande? Il futuro come lo vedono i nostri figli, entrambi editi da Laterza, mentre sta per uscire da Cortina un libro, La paura di essere brutti, su come i ragazzi oggi percepiscono il proprio corpo.
Marco Belpoliti: Il futuro dell’Italia appare assai incerto, non solo per ragioni economiche, c’è un evidente gap culturale reso manifesto dall’esito delle votazioni che, come ha scritto su “La Stampa” Mario Deaglio, evidenzia un forte conflitto tra le generazioni. È così? Grillo e i suoi elettori hanno mostrato la vera spaccatura che attraversa il paese?
Gustavo Pietropolli Charmet: Vorrei premettere che le mie sono delle considerazioni di uno scienziato sociale che guarda a quest’universo giovanile per ragioni cliniche, e non è detto che si applicano pari pari ai risultati elettorali. Ora però è evidente che urge un ricambio generazionale. La gerontocrazia ancora al potere, quelli che hanno più di sessant’anni, non si sono resi conto come i giovani delle ultime generazioni siano cresciuti in un contesto che non guarda più al Padre come una presenza persecutoria da abbattere e contestare. Non lo vedono più come minaccioso e castrante, com’era la vecchia autorità. Per questo quando compare un potere che invita al sacrificio, alla rinuncia, per dire Monti con i sui sacrifici masochistici, o Bersani, con la rinuncia in vista del sol dell’avvenir, un futuro molto aleatorio, i giovani non sono molto propensi a dare loro la delega. Non ascoltano più chi parla un linguaggio etico-astratto che non abbia una verifica diretta nella realtà.
Lei ha scritto nei suoi libri che si tratta di una generazione di narcisisti?
Sì, ma non è necessariamente un cambiamento negativo. Quello che è avvenuto è il passaggio dal complesso di Edipo, fondato sul conflitto con il Padre castratore, a quello di Narciso, che cerca invece la realizzazione del proprio sé. Gli adulti non hanno detto ai giovani, come accadeva nelle generazioni precedenti, che dovevano versare il loro sangue per la Patria, che dovevano aver fede nelle ideologie, che dovevano sacrificarsi in vista di mete lontane come il socialismo in terra. I ragazzi hanno creduto a queste parole, e hanno capito che, in fondo, era davvero meglio così rispetto al destino dei loro nonni. Oggi in cima ai valori personali, e di gruppo, sta la realizzazione di se stessi. Ora ragazzi hanno in mente un potere accuditivo, attento alla realizzazione della loro felicità. Per questo, quando vedono che non accade, rispondono non con la rivolta o con la lotta frontale, bensì con il disprezzo e il disinteresse, fanno di tutto per richiamare il potere ai suoi doveri, lo considerano un disertore rispetto al suo compito primario. Reagiscono con il sarcasmo, con la presa in giro.
Le sembra che gli attuali detentori del potere, sia di destra che di sinistra, abbiano una capacità di ascolto di queste generazioni così diverse da loro?
Ho un forte timore che le generazioni dei sessantenni e settantenni, che dominano ancora, non siano capaci di ascoltare tutto questo, mentre proprio ora sarebbe necessario. Le nuove generazioni hanno l’idea di realizzare il proprio sogno creativo in forma festosa, in rapporto con un potere che appare non in grado di organizzare la loro felicità, anche in ambito politico. I vecchi schemi di ragionamento non comprendono idee di questo tipo. C’è un salto di generazioni che va colmato, altrimenti saranno guai seri. Si va verso un conflitto, non di tipo ribellistico, come nel passato, ma di disprezzo e incomprensione reciproca. Espressioni come “morti che camminano”, “morti che parlano”, dicono benissimo la considerazione di queste generazioni nutrono nei confronti dei vecchi politici. Gli anziani purtroppo non capiscono, credono che vadano a divertirsi, a fare gruppo, non a salvare il Pianeta.
La sera del risultato elettorale gli aderenti del Movimento 5 Stelle si sono trovati, ad esempio, in una pizzeria a Roma per festeggiare la vittoria…
Certo. Consideri però che la richiesta di piena realizzazione di sé non esclude grandi ideali. Al contrario, molti dei valori ecologisti si ritrovano in questo movimento che interpreta in modo nuovo l’etica della responsabilità. Lavorano in piccoli gruppi, legati a realtà locali, a zone di scambio e di discussione nel web; gli anziani utilizzano ancora un modello generalista, a tratti masochistico, e finiscono per irridere le nuove generazioni che si affacciano alla politica nazionale.
Ma non è invece proprio l’individualismo, il narcisismo che trionfa nei giovani?
Interpretarlo così non spiega ciò che accade. C’è sì la realizzazione del proprio sé, ma esiste anche il gruppo, la fratellanza; si chiamano i fratelli a gestire insieme il potere, mentre i genitori istituzionali, la classe dirigente gerontocratica, non guarda certo ai loro bisogni. Se si è vecchi, non si riesce a comprendere che bisogna guardare alla agorà, allo spazio collettivo, e contemporaneamente alla realizzazione del sé. Se non lo si percepisce, diventa difficile trovare soluzioni al conflitto in atto.
Tutto questo è il risultato del cambiamento prodotto da Internet, dal web?
Certo. Per le nuove generazioni, per quelli che hanno da 15 a 30 anni lo scambio cognitivo e affettivo che avviene nel virtuale è vero e reale. Nel web si può avere una relazione autentica, può nascere l’amicizia e l’amore, in forma più reale che nella realtà fisica. A chi ha sessanta o settanta anni sembra probabilmente una moda, qualcosa di passeggero, non capisce che i corpi lontani gli uni dagli altri riescono ad avere un rapporto come accadeva nel passato nello spazio fisico comune. Le relazioni di gruppo, di solidarietà, di lotta, di condivisione, sono nate così e si sono proiettate dal web al campo elettorale. Che stesse accadendo questo lo vedeva bene solo chi è nativo digitale, ragazzi di 20-30 anni. Gli altri no, quelli che non sono nati con la tastiera in mano, sono lontani anni luce. Per questo sono preoccupato. Chi si trova nelle sfere di comando e di decisione deve capire questo cambiamento.
Insomma, lei vede dei rischi in tutto questo, ma è sostanzialmente ottimista sulle nuove generazioni?
Le nuove generazioni sono post-consumiste, sono più sobrie. Si sono emancipate dalla televisione, che è stata una delle fonti del consumismo. Si fanno la loro televisione, la loro musica, producono le loro immagini in Rete, non aspettano che la rete pubblicitaria lo faccia per loro. Capiscono benissimo che la scuola va informatizzata, profondamente trasformata, anche nel modo di organizzarsi. Hanno prodotto forme affettive e simboliche che prescindono dal passato. Lo si vede anche nei rapporti di coppia dei trentenni, con una parità tra maschi e femmine prima impensabile.
Cosa consiglierebbe ai detentori del potere?
Quelli che sono al vertice devono ascoltare e capire che c’è un nuovo modo di vivere, di amare, di considerare se stessi e l’altro, di guardare alla gente e ai bisogni collettivi. Se non lo fanno accentueranno l’impressione dei giovani che il potere attuale è morto. Che non serve dialogare con lui. Ci vuole al più presto un ricambio generazionale, una cooptazione nell’area delle decisioni. Prima che sia tardi.