Si trattava di tutto meno che di un’iniziativa improvvisata; era stato annunciato due giorni prima che i “Giovani padani” della Lombardia si sarebbero presentati con delle scope in mano. Era necessario riprendere visivamente l’invocazione che Roberto Maroni aveva scritto su Facebook: “pulizia, pulizia e pulizia”. Insomma bisognava ripulire l’immagine della Lega sporcata dalle notizie provenienti alle inchieste giudiziarie in corso, arrivate fino alla cerchia e alla famiglia di Umberto Bossi.
Scope per fare pulizia, una pulizia metaforica dunque. Del resto, se c’è un’idea che piace da sempre, in politica, è proprio questa di ripulire. Naturalmente una cosa è ripulire al proprio interno, tutta un’altra è rivolgersi agli avversari, tanto è vero che la metafora, da rassicurante, può diventare improvvisamente inquietante (“pulizia” etnica).
In un bel saggio di qualche anno fa Petra Roettig, una studiosa tedesca, ha mostrato come l’azione del pulire e la scopa stessa, che ne era lo strumento per eccellenza, abbiano avuto per secoli implicazioni morali. Ecco perché la scopa compare anche nelle immagini riguardanti le lotte religiose del XVI secolo. Nello stesso tempo l’oggetto rimane collegato a un’azione umile, appunto spazzare per terra: non stupisce che nella Novissima iconologia di Cesare Ripa (1625) il Vulgo overo ignobilità sia personificato da una figura che sta manovrando una scopa. Come dire che si tratta in tutto e per tutto di uno strumento plebeo.
C’è un altro spazio in cui vediamo di nuovo le scope, sin dal Cinquecento e poi per secoli fino alla moda odierna dei maghetti e dei sortilegi: lo strumento della pulizia casalinga diviene un inquietante veicolo per gli spostamenti magici delle streghe, elemento costante della loro iconografia, persino nelle sue trasmutazioni contemporanee.
Ma dal Medioevo fino all’età moderna la scopa richiamava anche la sfera delle punizioni corporali. Infatti, come ricorda il Grande dizionario della lingua italiana, “scopare” poteva significare anche “frustare, fustigare, soprattutto con rudimentali flagelli fatti con rami di erica e di arbusti (con particolare riferimento al supplizio che nel passato veniva inflitto, per lo più sulla pubblica via o piazza a meretrici pubbliche, ruffiani, sodomiti)”.
Semplice arnese domestico e distintivo del popolo, strumento di purificazione, elemento di riti magici, dispositivo di punizione; i diversi ambiti richiamati dall’oggetto-scopa sin dal Medioevo spiegano come mai, a un certo punto, la politica abbia cercato di recuperarla, sfruttandone la potenziale efficacia simbolica. Un motivo ricorrente nelle lotte politiche e nei conflitti ideologici, in particolare nell’Ottocento e nel Novecento, è infatti quello del “far piazza pulita”, dello “spazzar via”, si intende, avversari e nemici. Così che incontriamo ripetutamente nelle vignette e nei manifesti di propaganda – tanto di parte comunista, quanto di parte fascista – scope in azione contro gli antagonisti, rimpiccioliti e ridotti a fastidiosa immondizia. Per fare un solo esempio, nella Russia del 1920, il manifesto di Vladimir Lebedev in cui un operaio spazza via i nemici della Rivoluzione.
Nel secondo dopoguerra si continuano ad agitare scope politiche. Petra Roettig ha scovato una straordinaria fotografia in cui si vede il senatore repubblicano Joseph McCarthy – quello della “caccia alle streghe” contro il comunismo negli Stati Uniti degli anni ‘40 e ‘50 – mentre spazza i gradini del Campidoglio di Washington. Negli anni Settanta era invece un artista, Joseph Beuys, ad usare la scopa in due performance che avevano ecologia e politica sullo sfondo: la prima (Überwindet endlich die Parteiendiktatur, 1971) in un bosco di Düsseldorf, la seconda (Ausfegen [Spazzare], 1972) in Karl Marx-Platz a Berlino Est.
Gli esempi potrebbero continuare. Limitiamoci alla scena politica italiana. Nel 2010 la “Südtiroler Freiheit” diffuse un manifesto col motto “Il Sudtirolo può rinunciare all’Italia”: sotto lo slogan, il tricolore veniva spazzato via mentre subentrava la bandiera bianco e rossa tirolese. Un altro manifesto di partito, gli “Azzurri Italiani”, è ancora ben visibile sul web: il doppio senso è fin troppo prevedibile, come pure l’idea di spazzar “via la vecchia politica”. Poteva mancare Silvio Berlusconi? Eccolo durante la crisi dei rifiuti a Napoli mentre, attorniato da folle e guardie del corpo, armeggia con una ramazza come uno sbandieratore; la ramazza, non poteva essere altrimenti, è azzurra e di plastica.
Dunque, la retorica della pulizia e la simbologia della scopa sembrano funzionare ancora. E infatti nella manifestazione leghista del 10 aprile alla Fiera di Bergamo molti militanti hanno seguito l’invito del partito: alcuni di essi issano le scope, altri camminano appoggiandole alle spalle; alcuni dirigenti si fanno fotografare mentre scopano per terra con aria divertita; altri si mettono in posa con una t-shirt su cui è disegnata una ramazza con la scritta “L’è ura de netar fò ol polér”, la stessa che compare su uno striscione.
La pulizia “padana” è arrivata fin sul palco della manifestazione. In una foto che l’indomani compariva su alcuni quotidiani, Roberto Maroni impugna con la destra una scopa rivolta verso l’alto; porta impresso il Sole delle Alpi, simbolo leghista per eccellenza, segno che si tratta di un’operazione tutt’altro che improvvisata. Non è una qualsiasi ramazza di plastica, ma di saggina, insomma la scopa per definizione; porta con sé quel tanto di domestico e popolare che si accorda perfettamente con l’immagine che da decenni propone di sé la Lega. In questo senso è una vera e propria insegna. Eppure il senso purificatore che le si voleva attribuire non riesce a nascondere il tono aggressivo che da secoli scope e ramazze si portano dietro: attaccare gli avversari. Proprio lì accanto c’è l’antagonista da “spazzar via”, Bossi appunto. Non è un caso, del resto che molti commentatori abbiano letto la manifestazione leghista come una vera e propria intronizzazione di Maroni.
Rimane ancora una foto, quasi misteriosa, quella che mostra il salone vuoto dopo la manifestazione dell’“orgoglio leghista”; scope, spazzettoni e ramazze sono abbandonati a terra, disposti a cerchio come in una sorta di rito esoterico. È curioso, come ha fatto notare Pierluigi Battista, che improvvisamente si sia voluto dare di Rosy Mauro, una dei protagonisti delle inchieste recenti, una rappresentazione torva e cupa, tanto che l’articolo di un quotidiano parlava di lei come di una “ultima strega”: sì, perché dove ci sono scope e “cerchi magici” non possono che ripresentarsi anche le streghe.