Gianfranco Marrone, doppiozero.com
E per il desiderio di essere come tutti, direbbe un recente strega, l’ho fatto anch’io che lo faccio da sempre. Ho prenotato dal mio edicolante di fiducia Come viaggiare con un salmone (abbinato a “Repubblica”, € 10) sapendo perfettamente che avrei acquistato una parte del Secondo diario minimo (letto e recensito all’epoca). E sono corso in libreria a procurarmi una copia del Pape Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida (La nave di Teseo, pp. 469, € 20) prima che ne esaurissero le scorte, sapendo altrettanto bene che si sarebbe trattato d’una raccolta di bustine che ho compulsato con regolarità quindicinale nell’ultima dozzina d’anni. (La bustina, si sa, è ormai un genere letterario: rubrica inventata da Eco a metà degli anni Ottanta per chiudere “l’Espresso” e da allora, come la “Settimana enigmistica” nel suo campo, fra i tipi testuali e trovate editoriali più imitati al mondo. Non c’è magazine o rivista che non la adotti; non c’è autore, scrittore o aspirante tale che non la pratichi).
Li ho divorati entrambi in un week end, il primo senza di lui, e l’effetto è stato, com’è d’uopo coi classici, straniante. Non tanto perché non mi ci ritrovassi: sono tutte cose che grosso modo ricordavo, nei temi e nello stile. Il Salmone è una divertentissima serie di false istruzioni per l’uso (come fare l’indiano, come fare vacanze intelligenti, come mangiare il gelato, come presentare in tv…) che prende ferocemente in giro gli usi e i costumi di cui parla (siamo nella seconda metà degli Ottanta). Spesso mediante antifrasi (“come parlare agli animali”, per dire, mostra come non va fatto), talvolta con aggiunta di mise en abyme (c’è un “come seguire le istruzioni” che spiega come non vanno scritte). L’esperimento ricorda certi geniali testi di Cortázar (istruzioni per salire le scale, per camminare…) o di Watzlawick (istruzioni per rendersi infelici), ma con un humour a tutto campo e ben più intenso: un ottimo modo per fare critica sociale (o mitologia alla Barthes) col sorriso sulle labbra. Il Pape Satàn (titolo dantesco che, significativamente, non significa nulla) ripropone alcune centinaia di bustine degli ultimi quindici anni raggruppate per grandi temi (le differenze generazionali, la tecnologia e i telefonini, la rete, il razzismo, il ruolo attuale della filosofia, la sindrome del complotto…). Il principio che tiene insieme il tutto, come recita il sottotitolo, è la fortunata formula di Bauman circa la fluidità che caratterizzerebbe la nostra attuale configurazione socio-culturale. Crisi dello Stato e della comunità, delle ideologie e dei partiti, individualismo confuso, consumismo sfrenato, mancanza di valori: è noto. Ed Eco tratta tali fenomeni da par suo, con fiuto per il dettaglio, grande capacità di astrarre a partire dalla minuzia banale o dall’accadimento quotidiano. La società liquida, per lui, non è una formula interpretativa generica ma un universo semiotico da articolare e comprendere per poi – e ci tiene a ribadirlo – poterlo combattere, o addirittura superare. Rileggere queste cinquecento pagine dove osservazioni minime, notazioni casuali o intuizioni immediate annotate sul retro di un pacchetto di fiammiferi finiscono per diventare classici del pensiero è pratica non comune – e, va detto, fortemente inattuale. Dunque un esercizio salutare, e ben ha fatto la Nave di Teseo ad anticipare i tempi e presentarcele subito, quando l’emozione per la perdita del suo autore è ancora vivissima.
Quel che mi ha colpito, a leggere simultaneamente questi due libri incrociando l’uno con l’altro, è la radicale differenza di tono, non di idee o di stile ma, come dire, di inflessione affettiva. A parte alcuni scritti recenti presenti in entrambi i volumi (per ragioni, supponiamo, di irrequietezza editoriale), si tratta di due mondi molto diversi, quasi opposti. Nel Salmone c’è un Eco che, raggiunto il successo, fa di tutto per liberarsi dalle centomila scocciature che ne derivano. Con un po’ di gigioneria, certo, ma con tanta, tanta ironia. Nell’elencare le sue istruzioni fittizie, Eco si mette in gioco personalmente, dice di sé in volo business class, dove non sono in grado di servire un pranzo decente senza compromettere i tessuti dell’abito, o racconta del salmone freschissimo che va a male per colpa del frigobar di un hotel a cinque stelle collegato automaticamente al computer centrale. Storie buffe vissute personalmente, nella lotta quotidiana contro i postulanti d’ogni specie che lo invitano dovunque e per ogni cosa. E alla signora importuna che lo apostrofa impertinente – “suvvia, se vuole, uno come lei il tempo lo trova” – sciorina la serie dei suoi impegni settimanali facendo un conto astronomico delle ore destinate al lavoro. Con Pape Satàn troviamo un Eco molto, molto diverso, che se pure non perde il suo piglio ironico, lo ridimensiona fortemente. L’autore guarda molto meno a se stesso e molto di più al mondo. O meglio, usa molto meno la propria prospettiva personale per mettere a fuoco le grandi questioni che attraversano la società contemporanea. Parlando di strategie mediatiche ed eterni razzismi, oscure cospirazioni e profezie astrologiche, frenesie religiose e guerre, guerre, guerre, Eco ha di gran lunga rimosso il problema delle schiere di postulanti (pur tuttavia presentissime) che lo assillano con richieste tanto insulse quanto numerose. Si ritira in buon ordine, come lasciando scorrere ai suoi destini la società liquida, la quale, fra l’altro, sembra usare il passo del gambero. Internet, per dire, è zeppa di siti che inneggiano al peggiore passato.
Che si tratti di un comune problema d’età? del segno che, come si dice, avanzando con gli anni arriva saggezza e mestizia? Mi rifiuto di addivenire a una soluzione così banale. La spiegazione potrebbe essere un’altra. Quel che è cambiato non è tanto l’osservatore, i suoi modelli interpretativi, i suoi umori, le pieghe della sua esistenza privata. A essere profondamente mutata è la natura della stupidità umana contro cui perigliosamente combattere. Se, come sappiamo, il principale e perpetuo nemico di Eco, della sua variegata riflessione semiotica e filosofica, della sua multiforme scrittura romanzesca e giornalistica è, appunto, la stupidità, occorre individuarne non solo la gravità delle conseguenze ma la molteplicità delle forme con cui, presentandosi a noi, tende a camuffarsi d’altro. Eco sa bene, lo ha sempre saputo, che l’idiota è dappertutto in mezzo a noi e, funestamente, vince sempre (si rilegga la tipologia degli stupidi nelle prime pagine del Pendolo di Foucault, e, ancor prima, l’analisi di “Lascia o raddoppia” nel primoDiario minino). E sa anche che a ogni maschera della stupidità occorre rispondere in modo differente, con mezzi specifici, tattiche appositamente ridisegnate. Insomma, a paragonare le pagine di Eco delle due epoche, viene fuori molto chiaramente come lo scemo degli anni Ottanta sia molto diverso da quello attuale. La stupidità d’allora era ingenua, bonacciona, superficiale, goffa. La rappresenta bene quella signora che, accolta nello studio del maestro e ammirando la vastità della sua biblioteca, credendo d’essere originale sbotta con: “ma li ha letti tutti?”. La stupidità, dal Duemila in avanti, è d’altro genere. Diventa melliflua, ipocrita, calcolatrice, furba, tendenzialmente cattiva. Tende perciò a nascondersi dietro mille ragionamenti (scorretti), ad avanzare centinata di ipotesi (strampalate), ad additare complotti e fomentare sospetti, ad affannarsi a dimostrare con argomentazioni sedicenti ragionevoli la necessità della violenza e della guerra. In questo caso, il rappresentate ideale è George W. Bush, le cui frasi celebri sono raccolte da Eco in un intervento del 2002. L’allora Presidente degli Stati Uniti riusciva a proferire cose come “Se non ce la facciamo, rischiamo di fallire”, “La donna che sapeva che ho sofferto di dislessia – bene, io non l’ho mai intervistata”, “Francamente, gli insegnanti sono la sola professione che insegna ai nostri bambini”, “So che gli esseri umani e i pesci potranno coesistere in pace”. Peccato che poi andava bombardare mezzo mondo, bambini compresi.